In memoria di Storm Thorgerson, morto il 19 aprile 2013
Ho avuto la fortuna di vivere a Londra per pochi mesi, è una città che fa intensamente parte della mia geografia emozionale. Ogni volta che ci torno, ne sento l’odore fin dall’aeroporto, un insieme di cibo speziato, moquette e shepherd’s pie. I voli economici mi portano all’aeroporto di Gatwick da cui ha avvio la mia abitudine di turista: prendo il treno e, in mezzora, arrivo a Victoria Station, un piacere per chi apprezza l’estetica vittoriana.
C’è un edificio che vedo dal finestrino del treno e che mi fa capire di essere finalmente arrivata a Londra: Battersea Power Station. E’ un edificio iconico, finito anche sulla copertina di Animals dei Pink Floyd disegnata da Storm Thorgerson.
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Ecco una riflessione sulle copertine degli album.
Oggi la musica viaggia prevalentemente in formato digitale, scaricabile da siti specializzati, e viene riprodotta attraverso lettori portatili. Pertanto non è più strettamente necessario, come in passato, possedere il medium fisico del cd, musicassetta o long playing per aver accesso a contenuti musicali.
Fino a qualche anno fa, il prodotto musicale si identificava nella sostanza delle canzoni e nella forma della copertina. Anche oggi è così, ma il supporto fisico (cd, mc, lp) non è più indispensabile.
Christian Marclay, uno dei primi turntable performer, ha riflettuto molto sul rapporto tra musica e ascoltatore nell’epoca della riproducibilità tecnica.
Secondo Marclay, “record has become an icon, a symbol for rebellion, for fun, for pleasure. It offers a very individualistic freedom: a live concert has much more to do with social interacion. […] The commodification of music has transformed the very nature of music and its role in our society, altering our relationship to musical works, performers and tradition. Music now is available in endless reproduction. Mass production and distribution have left us in a solitary relationship with a material object. The distance beetween live and recorded music is a separation of time and space, an alienation from the original participatory experience of music”( J. Gonzàlez, K. Gordon, M. Higgs, Christian Marclay, Phaidon, London, 2005) .
Ispirandosi a Moholy-Nagy e a Milan Knizak, che in epoche diverse intervenivano sulle superfici dei dischi bruciandoli, graffiandoli o tagliandoli, negli anni ’80 Christian Marclay realizza “Recycled Records” in cui pezzi di lp diversi vengono rotti, colorati e riassemblati in un nuovo collage.
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Ironico, invece, l’intervento in “Record without a cover” (1985), in cui il disco, oggetto feticcio che custodiamo con cura per evitare di rovinare i contenuti musicali a cui siamo legati, viene reso vulnerabile attraverso l’assenza di copertina.
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Il collage torna in una serie di opere tra cui “Doorsiana” (1991) , dove Marclay accosta le copertine di vari album per ricomporre, in questo caso, il corpo di Jim Morrison.
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Questa piccola riflessione sulle copertine degli album e su tutto ciò che è collegato ad una band, dalla moda al merchandising, fa pensare ad un progetto elaborato dallo studio ennezerotre nel 2006, intitolato “Ghost trax” .
Si trattava di un’open call per artisti, grafici e creativi in generale in cui si chiedeva di creare l’immagine coordinata (copertine di album, gadget, etc.) di band inesistenti ma, per l’appunto, da inventare di sana pianta. L’unica assente doveva essere proprio la musica, perché solo le immagini avrebbero permesso di comprendere l’identità della band. Tutti i lavori realizzati sono stati poi venduti, come se si trattasse di un vero negozio di dischi.
L’idea di una falsa band può solo far pensare al divertente “rockumentario” This is the Spinal Tap (1984), del regista Rob Reiner, in cui si racconta il disastroso tour negli Stati Uniti da parte di una fittizia band heavy metal inglese, gli Spinal Tap. Nel film compaiono anche scene in cui si discute della copertina dell’album che sta per uscire.