Riccardo Castaldi è sound designer e progettista multimediale. E’ socio fondatore di N!03 [ennezerotre] e docente di sound design presso lo IED di Milano e la Naba. reiky@lowly.net
N!03 si occupa di installazioni e di musei interattivi multimediali in cui immagini, suoni e interazioni dirette con il visitatore rappresentano la specificità del vostro lavoro. Quando nasce il tuo interesse per il suono e come hai capito che avresti dedicato la tua attività professionale a questo aspetto?
A dire il vero, prima ancora dell’interesse per il suono ho subito il fascino dell’immaginario tecnologico ad esso collegato: il mio primo sintetizzatore era così pieno di manopole! Non c’erano ancora il midi e soprattutto i maledetti menu digitali che hanno rovinato le interfacce utente di tutti gli strumenti musicali elettronici dalla fine degli anni ’80 in poi. E’ incredibile come ti possano vendere come innovativo il fatto di dover scorrere pagine e pagine di menu invece di mettere direttamente le mani sul suono. L’acquisto di questo synth, all’età di 15 anni, ha determinato gran parte della mia vita. Non sapevo che suoni avrebbe fatto, avevo letto la sua recensione su di una rivista di elettronica, ma m’immaginavo avrebbe potuto far parte dell’arsenale strumentale dei Tangerine Dream, il cui album “Force Majeure” era stato il mio primo acquisto in vinile, pochi anni prima.
A volte ho l’impressione netta di vivere di rendita sulle mie passioni d’infanzia. Non importa se si siano poi espresse o meno in un ambito lavorativo. Quando il suono non era un lavoro, avevo più libertà d’espressione! Lavoravo come free lance in un service audio/video che mi lasciava molto tempo libero.
Naturalmente sono stato contento di guadagnare con la mia “vocazione”, ma oggi più che mai preferirei non dover più contrattare: vorrei che la mia committenza fosse l’orecchio umano, così da preoccuparmi solo di utilizzare un range di frequenze che rientrino tra quelle udibili a parte qualche piccola incursione in territori extra-auricolari di sub frequenze “tattili”. E naturalmente, anche se fossi così “libero”, sarei lo stesso condizionato dal contesto socio culturale, dalla moda, influenzato dai miei artisti preferiti, ed inoltre la committenza è sicuramente un ottimo strumento per vincere la mia pigrizia… quindi va bene così! L’importante è ritagliarsi del tempo per lasciar libero l’istinto e avere il lusso di cambiare tipologia di lavoro.
Che funzione ha il suono in relazione alle immagini?
Il più delle volte il suono è parte dell’immagine, non c’è nemmeno il suono, ma solo un’immagine che diventa tridimensionale, fisica, che acquista una poesia che magari non aveva, che stimola la nostra percezione, il nostro intelletto e soprattutto lascia spazio all’immaginazione del suo pubblico. Naturalmente questo accade solo se siamo stati bravi, dall’altra parte dello schermo, a capire che il suono non è un effetto speciale e nemmeno una didascalia. Può raccontare una storia, utilizzare il tempo e strutturare la visione stessa. Il suono ha molti più super poteri, nascosti, rispetto alla visione: poteri temporali e spaziali, stimolanti la ricerca dell’origine del suono, dell’intelletto in genere: l’immagine domina su tutto.
La dimensione temporale è più del suono o dell’immagine?
L’aspetto temporale è principalmente legato alle immagini, come nel cinema. Lo scorrere del tempo e la sua vettorializzazione è data dalle immagini. Contrariamente alle immagini, che possono fare un salto temporale con i flashback, la musica è una vera e propria scultura che si esprime nel tempo. Nell’ambito cinematografico, essa è qualcosa che scandisce il tempo accelerandolo, rallentandolo, a seconda del tipo di ritmo che gli si dà e permette, ad esempio, di sopportare delle inquadrature fisse lunghe se sono arricchite dal movimento sonoro. La musica può anche far annoiare, volutamente, se un suono ripetitivo è legato alle immagini o può anche restituire un senso esagerato di percezione del tempo fisico. In ambito allestitivo, è proficuo utilizzare un loop, ossia qualcosa che si ripete ciclicamente, e quindi si cerca di annullare i confini temporali.
In che modo il messaggio sonoro (voce narrante, suoni concreti, musica) influenza l’interazione con il visitatore e che tipo di ascolto progetti nel caso di installazioni?
L’approccio è vario e dipende dal tipo di allestimento. Partiamo da un livello basico, ossia quello cosiddetto “dell’ambiente”. L’ambiente serve a dare un contesto e uno sfondo alle immagini, che di solito sono proiettate. Le caratteristiche di queste musiche sono studiate sul tema generale dell’allestimento ma, soprattutto, non devono essere invasive. Trattandosi spesso di loop suono-immagine, la ripetizione non deve essere notata. Di solito, lo sfondo musicale è rarefatto e non può essere una colonna sonora d’impatto, perché potrebbe distrarre l’attenzione; può presentare delle caratteristiche anche forti, a volte, determinate soprattutto dallo spettro sonoro e dalle frequenze usate.
Un esempio potrebbe essere una mostra che abbiamo realizzato come N!03 nel 2004 a Genova, “Genova del saper fare” , che raccontava, in una delle sale, l’importante lavoro siderurgico che caratterizzava la città in passato. Gli ambienti erano molto impattanti sul piano sonoro (sferragliare, suoni di fonderie); questo è stato realizzato con l’uso di basse frequenze che costituivano un tappeto sonoro continuo, senza soluzione di continuità, modulato, che non annoiava ma che nello stesso tempo non aveva un suo svolgimento teatrale; in più è stato scelto un approccio fisico, mediante l’utilizzo di vibrazioni che trasmettevano, attraverso i piedi, l’impatto di questi ambienti molto forti.
Un altro livello riguarda, invece, quello in cui il suono è legato fortemente alle immagini. Ci sono dei punti di sincresi, come nel cinema, per cui ci sono elementi contatto, una punteggiatura sonora che segue le immagini e le rafforza. Contrariamente al cinema, l’allestimento ha la necessità di attirare l’attenzione del visitatore su quello che sta succedendo in un preciso momento e luogo dell’ambiente. La concertazione di una colonna sonora, in questo senso, è determinante perché serve ad attirare l’attenzione su ciò che sta succedendo per far capire quali sono i centri di attenzione in quel momento.
Poi c’è un livello legato all’interazione che, in prima istanza, dà un feedback positivo all’avvenuta azione del visitatore e a volte può essere molto più forte dell’immagine stessa. Di solito abbiamo a che fare con una situazione di standby visivo e sonoro, e il gesto del visitatore deve poter restituire immediatamente il potere che lui ha di interagire. E’ molto importante creare un feedback chiaro e semplice, soprattutto perchè si interagisce in ambiti non consueti.
Per esempio, in alcuni casi abbiamo progettato una forma di interazione che sembrava dare ai visitatori la possibilità di essere direttori d’orchestra: puntando una luce in un punto, da lì proveniva un suono, e così via in altre direzioni, creando anche un aspetto ludico nell’interazione. Si trattava di una mostra sui grandi maestri del design italiano, “Art of Italian design”, svoltasi al Megaron di Atene : c’erano sei schermi che presentavano degli slideshow molto semplici, immagini di oggetti, schizzi, etc. e, puntando una luce su questi schermi, si scavava nell’immagine mostrando quella sottostante; al tempo stesso, da quel punto, si sentiva un suono continuo. Spostandosi su di un altro schermo, il suono continuava ma con un’altra prospettiva spaziale, perché sembrava provenire da un altro luogo avendo connotati timbrici diversi.
Se non ci fosse il contenuto audio, cambierebbe qualcosa nella comunicazione dei contenuti e nelle dinamiche interattive?
Sì, l’aiuto che dà il suono è determinante. A volte ci capita di dovervi rinunciare perché, ad esempio, potrebbe disturbare. In questi casi le immagini devono essere rafforzate nel loro impatto. Altre volte, ad esempio, quando vogliamo trasmettere dei contenuti informativi letti da un attore, si pone il problema di dover far ascoltare più contenuti audio in una stessa stanza. Per noi è ancora un problema un aperto.
Ci è capitato nel caso del Museo della Resistenza di Torino : abbiamo risolto utilizzando delle cuffie ad infrarossi, quindi ci si poteva muovere liberamente nello spazio e, essendo un museo sulla memoria, non si poteva prescindere dall’ascolto di racconti di persone reali. Quindi, a seconda di come ci si poneva di fronte all’immagine di una persona, si ascoltava solo quel racconto; spostandosi, si poteva ascoltare tutto il resto dei contenuti sonori, senza disturbarsi. Però, consideriamo sempre una sconfitta usare le cuffie, soprattutto per l’isolamento dall’ambiente circostante, tuttavia talvolta è necessario ed è l’unica soluzione.
Quando progettate un allestimento, è problematico pensare alla parte audio?
L’audio e le sue potenzialità sono ancora inespresse. In certi casi, la regia di un film o di un allestimento trae molto giovamento dalle scelte sonore. I problemi, comunque, ci sono sia per le immagini sia per il suono: si pensi semplicemente ad ambienti molto luminosi che disturbano la visione delle immagini o un luogo che ha acustica pessima. In genere, cerchiamo di spremere il più possibile le caratteristiche e le potenzialità del luogo da allestire, coerentemente con i contenuti da diffondere.
Dove trovi i suoni che utilizzi nei tuoi progetti?
Dipende dal tema. Cerco sempre di usare la materia sonora grezza dei contenuti che andiamo a trattare. Se parliamo di argomenti storici, cerco di elaborare le registrazioni disponibili: ad esempio, da filmati d’epoca estraggo il suono e lo rielaboro in modo moderno. Nella mostra di Atene, si parlava di maestri di design italiano: erano visibili degli oggetti da loro progettati e io ho cercato di farli suonare picchiettandoli e usando la materia sonora di cui erano fatti (plastica, legno, etc.). In altri ambiti, cerco di utilizzare dei field recording che nascono dal tema che si va a trattare: parto sempre dal contesto, anche storico, e rielaboro ma sempre dando un punto di vista nuovo e attuale, senza avere un fine documentaristico o scientifico.
Un piccolo aneddoto su “Genova del saper fare” : una sala era dedicata all’urbanistica e a come erano cambiati alcuni quartieri di Genova nel corso della storia. Per fare ciò, abbiamo confrontato delle immagini dello stesso punto di vista ma sovrapponendole, mettendo in relazione il passato e l’oggi. Invece di lasciare solo un feedback sonoro del gesto di cancellare l’immagine sottostante, utilizzando una torcia, avevamo pensato di usare l’audio di commento di persone che vivevano quei luoghi e che raccontavano i cambiamenti avvenuti, con frasi molto brevi: l’intento era di conferire un po’ di umanità all’allestimento. Purtroppo non abbiamo potuto utilizzare questa idea perchè il curatore, uno storico, sentiva la necessità di confermare le proprie fonti: abbiamo lottato ma non siamo riusciti a spuntarla.
Per la mostra “Rossa” N!03 ha vinto il Premio Compasso D’Oro nel 2011 e l’allestimento “L’anima di gomma” è stato premiato con il Red Dot Design Award nel 2013. Commentiamo questi due lavori da un punto di vista sonoro.
In “Rossa” mi sono consapevolmente espresso in modo molto didascalico, perché vi era la necessità di ascoltare registrazioni molto belle che abbiamo avuto modo di conoscere grazie alla Discoteca di Stato, che ci ha fornito materiali molto preziosi, dai canti delle mondine, degli alpini, a quelli del lavoro nei campi: occorreva farli sentire.
In “Rossa” a Torino, avevamo a disposizione un grande spazio centrale vuoto, di quattro piani, che non potevamo usare per i contenuti visivi perché troppo luminoso; pertanto abbiamo lavorato sul perimetro, a livello di installazioni, e abbiamo caratterizzato questo spazio centrale come se fosse una sorta di juke box dove le persone sceglievano una selezione di queste canzoni, salendo su di un podio. L’unico trattamento audio non è stata la rielaborazione del materiale sonoro, per lasciarlo nella sua bellezza, ma abbiamo fatto ascoltare le musiche da un punto di vista preferenziale. Sul podio, infatti, erano spazializzate e, su cinque punti sonori dislocati nello spazio, si ascoltavano canti diversi: quindi, non c’era uno stravolgimento effettivo del materiale di partenza ma si creavano solo punti di vista preferenziali.
Nel caso di “Rossa” c’è stato ancora una volta l’utilizzo delle vibrazioni da percepire attraverso il corpo, perché ci si trovava immersi in una manifestazione proiettata su di un tulle, lungo un corridoio. I visitatori, dall’esterno, vedevano le persone vere camminare in mezzo alle persone proiettate che si confondevano, diventando parte dell’allestimento. L’impressione della manifestazione, dal punto di vista di chi camminava all’interno del corridoio visivo, era data dalla restituzione del suono, delle marce e dei tamburi attraverso il corpo ,come se la terra stesse tremando all’impatto della manifestazione.
“L’Anima di gomma”: in questo caso ho avuto modo di essere il coordinatore delle idee di N!03 e, avendo questo punto di vista preferenziale, ho cercato di caratterizzare l’allestimento con il suono di un elemento che entrava in tutti i luoghi di questa mostra, ovvero una pallina di gomma. A livello di immagine, la pallina era semplice e stilizzata perciò l’identificazione del suo essere di gomma era data unicamente dal suono. C’era un cerchio che rimbalzava, astratto, ma un sistema di più di quarantadue altoparlanti nascosti ha fatto in modo che, laddove la pallina rimbalzava, lì si sentisse il suono della gomma: ogni singolo rimbalzo aveva la sua nota e l’effetto era stato concertato in modo che i suoni fossero sempre diversi e mai dissonanti. Il risultato era una composizione di piccole note gommose rimbalzanti che avvolgevano lo spettatore e, al tempo stesso, gli facevano capire cosa succedeva anche alle sue spalle.
C’era anche un allestimento interattivo in una sala molto grande in cui il playground, dove la pallina si muoveva, diventava lo stesso in cui lo spettatore agiva. Il visitatore poteva interagire con la pallina e un sistema di tredici altoparlanti, disposti lungo il perimetro della sala, faceva in modo che si avesse l’impressione che il suono si generasse nel punto di impatto con la palla che veniva colpita. La pallina era sempre la stessa e anche il suo suono: essi diventavano una sorta di cicerone che accompagnava il visitatore durante tutto il percorso espositivo.
Per quanto riguarda il suono della pallina di gomma, abbiamo trascorso credo due settimane per individuare quello più riconoscibile: immaginavamo che fosse semplice da realizzare, invece non era così. Non potevamo usare il vero suono di una pallina di gomma, perché il rischio era che potesse essere confuso con altro, soprattutto perché l’immagine della pallina era stilizzata. Quindi, abbiamo creato il nostro suono sovrapponendo a suoni provenienti da oggetti diversi: il transiente d’attacco era un pallone leggermente sgonfio, l’aspetto gommoso invece scaturiva dal colpo percussivo dato dal rimbalzo, i suoni erano creati modulando quelli generati da giocattoli di gomma e da alcuni suoni di sintesi.
Per concludere: a livello personale, che rapporto hai con il mondo dei suoni?
Da parte mia, c’è un interesse nei confronti del mondo acustico in generale: è una sensibilità che mi porto dietro e che mi fa godere di alcuni panorami che visivamente possono essere modesti, ma che in realtà presentano delle caratteristiche intriganti dal punto di vista sonoro. E’ un aspetto che mi piace raccontare ai miei studenti: mi piace stimolarli da questo punto di vista, perché i suoni possono essere anche fonte di ispirazione per tutt’altro. Così come i suoni entrano nelle immagini, così le immagini possono entrare nei suoni. I miei soci, che si occupano di immagini, mi danno sempre spunti interessanti sull’utilizzo dei suoni, anche perché un punto di vista esterno deve essere sempre ascoltato. Credo comunque che non si presti l’adeguata attenzione all’aspetto sonoro negli allestimenti. Tuttavia, chi ha cura nel progettare sa che, anche sul piano estetico, far suonare bene un allestimento, un oggetto di design o un film aggiunge qualità al prodotto finale. Poi, in un periodo di crisi economica come questo, occorre pensare che il suono costa molto meno delle immagini e lascia anche molto spazio all’immaginazione.