A cosa serve la musica?
Ce lo spiega, indirettamente, Bruno Munari nel suo breve testo Good design.
Munari, con la consueta ironia e leggerezza, nel suo libro descrive tre prodotti della natura, ossia l’arancia, i piselli e la rosa, dal punto di vista dell’industrial design e di una funzionale produzione in serie. L’arancia e i piselli sono razionali e modulari e rappresentano un perfetto esempio di oggetti ben progettati. La rosa, al contrario, rappresenta un mistero perché sebbene sia inutile, tuttavia la sua produzione è vasta e diffusa.
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<<Una razionale concezione della funzione sociale dell’Industrial Design non può che rinnegare quella produzione, purtroppo molto diffusa, di oggetti assolutamente inutili all’uomo. Oggetti nati come mere ipotesi, con scopi legati al più banale senso della decorazione, gratuiti e ingiustificati.(…) Uno di questi oggetti è la rosa. Oggetto di grandissima produzione, formalmente molto coerente e piacevolmente colorato. (…) I petali dalla curva elegante, la chiara disposizione delle foglie e la loro razionale disposizione lungo il ramo non sono elementi sufficienti a giustificarla come oggetto d’uso a grande diffusione. (…) Un oggetto assolutamente inutile all’uomo. Un oggetto solo da guardare o tuttalpiù da annusare, un oggetto non giustificato. Un oggetto che invita il lavoratore a futili pensieri. Un oggetto perfino immorale>>. (Bruno Munari, Good design, Corraini, Mantova, 2003, pp.24-27)
Così è la musica.
Essa, oggetto rappresentazionale aperto, agisce direttamente sulla sfera emotiva dell’ascoltatore, assumendo qualsiasi significato. In questo risiede la sua potenza ed il suo fascino, tanto da renderla un bisogno irrazionale ma da continuare a soddisfare.
Il file sharing di contenuti musicali, l’abitudine ad ascoltare musica dappertutto grazie ai lettori mp3 portatili, il tappeto musicale nei centri commerciali o durante le attese telefoniche, le mood radio, etc. sono testimonianze di questo desiderio di evasione che solo la musica può permettere.
Michael Bull, sociologo inglese che si è interessato diffusamente del rapporto tra nuove tecnologie portatili e fruizione musicale, ha pubblicato un libro intitolato Sound Moves: iPod Culture and Urban Experience, in cui analizza la relazione che i possessori del noto lettore mp3 portatile hanno instaurato con il proprio oggetto. Tra le svariate testimonianze raccolte in base a interviste dirette o questionari, mi sembra interessante citarne una: <<“The music my iPod contains adds a level of emotional attachment to the device itself for producing so many pleasant listening experiences. Strangely enough, this does not translate to the phone containing all of my numbers and text messages, and I only consider it to be a communication device used for calls, messages, and net use and as an alarm clock. If I lost my iPod I would be devastated but in the case of my phone I would just be annoyed because of all the contact numbers lost and would not think twice about it” (John)>> (Bull M., Sound Moves: iPod Culture and Urban Experience, Routledge, London, 2007, p. 74).
Il caso del lettore mp3 portatile è davvero significativo perché è un esempio di design nel design, ma soprattutto perché è un oggetto molto potente proprio a causa di ciò che contiene.
La musica, che Edgar Varèse definiva come suono organizzato, rappresenta un insieme facente parte di un universo più grande, quello dei suoni. Così come il semplice tronco di un albero, se lavorato e progettato, può diventare tavolo o sedia, così un insieme di suoni, se progettati, possono diventare componimenti musicali.
Il lettore mp3 portatile è un oggetto progettato che al suo interno contiene altri oggetti progettati (musica). Anche un armadio contiene vestiti, ma non saremo mai così ossessivamente attaccati ad esso come alcune persone al proprio lettore mp3 portatile. La spiegazione è semplice: il lettore portatile contiene e custodisce le nostre emozioni (musiche, canzoni, ricordi) e, soprattutto, ci permette di averle sempre con noi, in ogni dove e in ogni momento. In questo modo, ci consente di sentirci “a casa”, così come sostiene Tiziano Bonini nel suo libro “Così lontano, così vicino”.
Per concludere, Bruno Munari, già negli anni ’60, dimostrava di essere particolarmente lungimirante nel capire che la razionalità appaga ma le emozioni confortano e riscaldano.
Lunga vita alle rosae.