Barbara Bisconcini San Cristoforo è urban designer e docente nei corsi di Alta Formazione presso POLI.design, Consorzio del Politecnico di Milano.
Qual è il primo locale che hai progettato e realizzato? E’ successo per caso o hai cercato questa occasione, ossia hai sempre voluto progettare spazi come questi?
Ho sempre frequentato questo ambiente perché sono un animale notturno, non mi posso definire in maniera diversa, perciò non è stata una casualità il fatto di inserirmi professionalmente nell’ambito della progettazione di locali lounge e discoteche. L’occasione si è manifestata per caso, tramite il ritaglio di un giornale in cui veniva presentata la seconda edizione del corso New Entertainment Design, specializzato nella progettazione di discoteche e di locali di intrattenimento legati alla vita notturna. In quel momento, lavoravo come urbanista in uno studio e avevo a che fare con piani regolatori, piani del colore, regolamenti edilizi: non ne potevo più! Avevo voglia di qualcosa di più fresco, dinamico e divertente. Lavorando come pr ho sempre visto che i locali, dal punto di vista economico, non sembrano risentire di crisi e di perdite, se sono seguiti da persone che li sanno gestire bene. Quindi mi sono detta: “perchè no?!” e ho frequentato il corso.
Durante il corso ho avuto il piacere di conoscere e di iniziare a lavorare con Andrea Manfredi e, nel primo anno di collaborazione con lui, non ho fatto altro che stare alle sue spalle e guardare cosa facesse: ho imparato di più che in cinque anni di università. Con lui ho iniziato a realizzare il mio primo locale notturno, ovvero un privé.
Il progetto che posso dire di aver seguito dall’inizio alla fine è stato, appunto, il Fiat Lounge, perché l’ ho seguito dai desiderata del cliente all’inaugurazione. In quella occasione mi sono accorta anche delle dinamiche, al di fuori dell’architettura, che ruotano attorno ai locali, come ad esempio il rapporto con i brand di beverage, che sono una dimostrazione chiara di come il gestore di un locale sia disposto a spendere soldi. Questo perché, quando progetti la casa di un privato, la prima richiesta è di risparmiare e continui a fare progetti su progetti che non ti portano da nessuna parte. Lavorando per una discoteca invece ti puoi sbizzarrire con materiali, colori, etc. perché spesso i gestori sono persone disposte a provare e questa è la caratteristica che mi ha divertito di più nel fare questo lavoro.
Anche perché è insito nella discoteca o in un locale il fatto di essere spettacolare…
Sì, ma finché ci sono le luci spente! Quando accendi le luci, soprattutto in una discoteca, e vedi veramente com’è fatta, ti rendi conto che i materiali sono molto meno belli di quello che ti sembrano e qualsiasi arredo in grado di sopravvivere ad una discoteca è una garanzia di indistruttibilità!
Di solito, ricevi un brief dettagliato da parte del cliente oppure scegli tu il nome del locale, l’atmosfera, l’immagine coordinata?
Decisamente no. Talvolta capita che i miei clienti mi diano indicazioni su un colore che preferiscono o su di un materiale, oppure mi danno il suggerimento di un altro posto. Mi è capitato che un cliente mi abbia detto: “lo vorrei come il Niki Beach di Miami” e tu devi fargli capire che il Niki Beach funziona perché è a Miami! E’ inevitabile che un locale progettato per un luogo ben preciso, se viene riproposto altrove, o sembra un parco a tema oppure fallisce subito perché non viene digerito e apprezzato dalla gente. Quindi, frasi che suonano “lo vorrei come” sono un modo con cui, chi lavora nella notte, dà il brief. Poi viene comunicato il budget, che di solito è sempre la metà di ciò che i clienti sono realmente disposti a spendere.
In cosa vogliono spendere di più i committenti?
Nel caso delle discoteche, è sicuramente l’impianto audio. Da quando si è diffusa la tecnologia del tetto-suono, molti gestori vogliono realizzarlo anche perché in una discoteca si cerca proprio la fedeltà dell’audio. Nei locali lounge, invece, sono cambiate le tendenze. Una volta si spendeva molto per l’illuminazione, per creare un’atmosfera con luce, suono, odori. Adesso, invece, si spende negli arredi anche perché, negli ultimi anni, c’è stata un’ evoluzione del concetto di design. Un tempo, pochi erano gli esperti che apprezzavano alcuni tipi di prodotto. Adesso la parola “design” è usata da tutti ed è legata a qualsiasi cosa, dall’oggetto riconosciuto come tale a prodotti di dubbio gusto ma collocati come se fossero protagonisti all’interno del locale.
Il bello di lavorare con i locali è che, iniziato un rapporto con un cliente, la collaborazione può durare molto tempo, perché una discoteca, almeno ogni sei mesi, va rinfrescata nell’immagine. Nel caso di un locale lounge, il rinnovo di immagine dipende da quanto guadagna il locale stesso. Un locale più funziona più si mantiene, perciò ogni tre o quattro mesi si può essere contattati per rinnovare, ad esempio, il privé, perché è cambiato un brand, oppure aumentare l’illuminazione, gestire il dehor, etc. Con i clienti residenziali succede raramente perché, una volta realizzata una casa, non hanno più bisogno dell’architetto.
Quindi è meglio, sia per il proprietario di un locale sia per il progettista, realizzare dei pezzi “portanti”, ben fatti e non modificabili (ad esempio l’impianto audio, il bancone, etc.) e modificare il decoro nel tempo?
Sì. Proprio il banco bar è quell’oggetto in cui tutti spendono molto perché sanno che fa la differenza all’interno di un locale, in quanto ne è il vero e proprio motore. Questo perché, se l’hai progettato male, influenzerà i guadagni: se è troppo piccolo, è scomodo; se è troppo grande, rispetto a ciò che realmente si guadagna, si hanno costi di manutenzione, materiali, etc. che sono troppo alti.
Che tipo di problematiche bisogna affrontare nella progettazione di locali lounge e di discoteche?
Innanzitutto gli orari, perché potrebbe capitare di incontrarsi per una riunione alle 2 del mattino. Chi gestisce questi spazi, prima delle 2 del pomeriggio non è reperibile. Ciò comporta che, ad esempio, sei in cantiere la mattina, devi modificare qualcosa, e non c’è il referente da contattare. Quindi è inevitabile accollarsi una responsabilità che è sempre rischiosa. La normativa è un altro problema, soprattutto per me che lavoro a Milano. Qui c’è la normativa più rigida d’Italia. Addirittura sono arrivati a chiedere, per le discoteche, che le pareti perimetrali debbano essere in classe zero. Un vetro, in classe zero, non ha il film al suo interno. Con molte probabilità, un vetro si rompe in discoteca e, se non è rinforzato da una pellicola interna, è molto pericoloso. Ma questo non viene preso in considerazione dalla normativa.
Quando progetti, pensi anche a come si potrebbero comportare le persone in quei luoghi?
E’ la prima cosa a cui bisogna pensare, perché in un luogo dove vengono serviti alcolici le persone possono dare il peggio di sé. Più aumenta il grado alcolico, peggiori saranno i danni nel locale e, a livello di progettazione, occorre evitare di creare le occasioni per il disastro. Le teste rotanti, le mirror ball, etc. in una discoteca devono essere collocate ad una distanza che è l’altezza media di una persona a cui aggiungere il braccio sollevato altrimenti vi si possono appendere. Non deve esserci niente che tagli, che bruci, che ingombri il passaggio, che possa essere staccato e tirato, sul quale ci si possa arrampicare, che possa cadere in testa, la lista è infinita. Spesso prendo come esempio la “Casa dei folli” di Asterix, perché dovresti seguire un percorso così articolato (anche all’interno delle nostre amministrazioni) per elaborare un progetto che sia perfettamente in regola. Mi domando: ma se è perfettamente in regola, poi sarà altrettanto divertente?
Si parla della fine della discoteca vecchia maniera, quella in voga negli anni ’70 e ’80, dove ci si recava per ballare, per divertirsi, per vivere un’esperienza di evasione. Secondo te, oggi quali sono i luoghi che possono aver sostituito le discoteche di una volta nel senso dell’esperienza permessa?
Sono parzialmente d’accordo con questa affermazione. E’ vero che sono finite le grandi discoteche, perché non fanno più cassa, costano troppo. Discoteche di grandi dimensioni possono funzionare ancora a Ibiza, perché ci sono turisti che si recano lì esattamente per passare da una festa ad un’altra. La discoteca in sè funziona e anche molto bene, secondo me: semplicemente sono cambiate le dinamiche. Prima si andava a ballare il venerdì, sabato e domenica. Adesso è diventato fuori moda e ci si va il martedì e il giovedì. Sono tornate le serate con animazioni: ad esempio, a Milano c’è una serata molto famosa, il “Fidelio”, che resiste dal 2000 e continua a trascinare clientela. Il problema è che il “Fidelio” adesso non riesce a trovare spazi abbastanza grandi per gestire l’animazione perché le piste sono sempre più piccole, i privè sono sempre più grandi e il cubo ha perso un po’ di fascino.
Tutti noi sappiamo che andare a ballare è uno sfogo e, nel periodo che viviamo adesso, si tratta di un divertimento dal costo modico perché al prezzo di un ingresso con consumazione si può restare lì tutta la notte. Inoltre, la gente continuerà ad andarci perché, ad esempio, è più facile approcciarsi alle ragazze: con la scusa che il volume è alto, ti devi avvicinare di più alla persona per parlarle e, quindi, in automatico crei un contatto fisico.
Anche in base alla tua esperienza come pr, dicevi che le piste sono sempre più piccole e il privè è sempre più grande. Vorrei sapere se e perché, a tuo avviso, queste dimensioni si sono modificate anche in relazione ai cambiamenti musicali.
Una volta le piste erano grandi perché i balli erano o a coppia o in gruppo. Questo genere di musica non è più diffuso come prima e, nelle discoteche, c’è sempre di più musica da isolamento e non si condivide il piacere del ballo con chi sta a fianco. Quindi, dal punto di vista funzionale, questo può essere un motivo per cui si sono ridotte le piste. I privè, invece, si sono ingranditi perché fanno guadagnare. Per accedere al privè devi prenotare un tavolo che costa, in base alla città e alla discoteca, mediamente 100 €, per ospitare al massimo sei o otto persone. Quindi è stato necessario aumentare il numero dei tavoli, abbassando il prezzo. I primi gestori di locali, che hanno notato queste dinamiche, hanno dato una svolta alla progettazione delle discoteche perché, aumentando i privè, c’è necessità di più imbottiti, di più sedute, di più tavolini, si possono brandizzare più spazi che sono in vendita, e quindi il proprietario guadagna di più.
Riflettevo sul fatto che, ad esempio, il dj è una figura che ha avuto grande lancio grazie al successo di un luogo fisico, la discoteca. Sembrerebbe che, adesso, uno abbia superato l’altra.
Sì, è vero. Pensa ad esempio a David Guetta: in fondo è un bravo dj che ha usato anche un’ottima comunicazione per creare il suo personaggio e adesso riempie gli stadi, oltre che aver creato una discoteca per sè. Oggi il dj è diventato talmente importante da essere coinvolto nella progettazione di una discoteca, ottenendo buoni risultati perché spesso assiste al sound check, controlla i materiali, etc. ; aiutando a progettare un buon impianto audio, la musica verrà diffusa ad una buona qualità, le persone si divertiranno, il locale si riempirà e il proprietario sarà contento. Talvolta i dj non si fermano solo all’audio ma intervengono anche nella progettazione dell’atmosfera con intuizioni importanti proprio perché loro hanno un rapporto diretto con il pubblico quando suonano e quindi vedono se, ad esempio, c’è un cubo posizionato male e dà fastidio, soprattutto perché la consolle è sempre rialzata e si vede bene quello che succede nel locale.
Quali sono oggi i luoghi per andare a ballare e per divertirsi così come si faceva nelle discoteche di una volta?
Gli ibridi secondo me non funzionano molto bene perché si tratta di luoghi non ben definiti neanche dal punto di vista normativo. Per esempio, i disco bar spesso non hanno la licenza di ballo, hanno gli spazi ridotti e non hanno le uscite di sicurezza necessarie. Quindi, a mio avviso, il divertimento è ancora il concetto “Ibiza”, ovvero la possibilità di stare in un ambiente in cui riuscire a liberarsi da tutto ciò che crea problemi durante il giorno. Paragono la discoteca allo stadio: allo stadio si urla e in discoteca si balla, ma si tratta sempre di uno sfogo.
Sei tutor del corso di Alta Formazione “New Entertainment Design ” organizzato da POLI.design, Consorzio del Politecnico di Milano. Ce lo presenti?
All’interno del POLI.design c’è una serie di corsi formativi che nascono dal “New Entertainment Design” perché crediamo, come gruppo di lavoro, che le dinamiche che si creano all’interno di locali notturni e i materiali che si possono usare in questi spazi sono innovativi di per sé, proprio perché si tratta di luoghi in cui si sperimenta molto. Credo che il locale notturno non sia semplicemente un luogo in cui bere un cocktail, ma permetta di vivere una esperienza da ricordare. Il NED è arrivato alla sedicesima edizione e sono otto anni che il corso si ripete con successo. Nei periodi di crisi, i corsi di formazione sono una valida opportunità di aggiornamento professionale. Inoltre, ci sono corsi di varia durata, da due settimane a tre mesi, permettendo di poter ricavare il tempo da ritagliarsi per aumentare le proprie conoscenze.
In sedici edizioni di New Entertainment Design, hai notato dei cambiamenti, in termini di scelte estetiche e di servizi proposti, dei diversi concept di locali?
Ho notato che i progetti di ogni corso individuano delle nuove tendenze. Ad esempio, è successo più volte che in alcuni progetti gli studenti abbiano scelto di usare un certo colore e, dopo qualche mese, quello sia diventato il colore di punta. In altri corsi, come quello di “Bathroom Design”, ho notato che alcuni prodotti creano le mode: si inizia ad usare un materiale o un oggetto che, ad esempio, è in fase di sviluppo e, poco dopo, quello stesso materiale o oggetto diventa un must. Per quanto riguarda i servizi o le esperienze proposti nei concept, questi sono variabili e mutevoli in ogni corso perché sono legati all’area di provenienza dei progettisti e alle loro esperienze. Di sicuro, poche volte ho visto il ripetersi delle stesse proposte.
C’è bisogno di nuovi locali? Secondo te è un settore trainante?
Mi dispiace dirlo ma, secondo me, finché ci saranno problemi economici, molte persone cercheranno una forma di evasione nell’alcol. E’ un dato di fatto: quando si è depressi, l’alcol aiuta a dimenticare i problemi e a rilassarsi, un po’ come la musica, che sicuramente ha meno effetti collaterali dell’alcol. Un luogo che vende alcolici ma è senza musica è destinato a morire. Poi, a seconda dell’esperienza che si vuole offrire in un locale, se è l’isolamento dai problemi o la possibilità di socializzazione, cambierà il livello e il tipo di musica, ma essa non può mancare, altrimenti senti i tuoi pensieri. La musica è un elemento fondamentale e il problema è che chi non la sa usare può davvero danneggiare l’intera immagine del locale, se esagera. Tante volte mi e’ capitato di dover urlare in un ristorante per farmi sentire perché il volume della musica era troppo alto. E’ una constatazione semplice ma, evidentemente, la si trascura: bisogna ragionare sul fatto che il suono non sta fermo ma, invece, interagisce con i materiali.
Per concludere, penso che ci sia ancora bisogno di locali perché le persone hanno, soprattutto adesso, un grande bisogno di sorridere e di divertirsi. Forse lo slogan è eccessivo ma c’è necessità di “sangue e arena”, ovvero di evasione ma soprattutto di sfogo.