Architetto a Milano, libero professionista; attività prevalente: curioso; studente perenne, attualmente alla non-scuola Tam Tam; viaggiatore eterico/materico, statico/dinamico. Più “creatante” che creativo e tutor per il Laboratorio di Architettura di Interni della Facoltà del Design del Politecnico di Milano. Consulente scientifico per MediumSize e Temporalia. Questo il suo profilo linkedin.
Com’era Napoli negli anni ’70, dal punto di vista dell’offerta musicale?
Ho avuto la fortuna di crescere e di formarmi in un momento storico in cui a Napoli c’era un fermento culturale impressionante: in questo momento, faccio addirittura fatica a mettere in ordine i ricordi, talmente tanti erano gli stimoli e le proposte offerte.
Ho iniziato ad affacciarmi alla scena culturale napoletana tra il ’73 e il ’74, assistendo ai primi concerti: ero riuscito a strappare il permesso ai miei genitori per vedere i Genesis, i Traffic, Stomu Yamashta, i Soft Machine e alcuni altri. In quegli anni c’erano due o tre concerti importanti all’anno e si trattava di artisti noti nella scena pop, rock e jazz mondiale. Sia la scena pop progressive sia quella rock italiana e internazionale sono passate tutte da Napoli, questo è durato fino ai primi anni ‘80. Tuttavia, c’era anche una scena musicale napoletana molto ricca: pensiamo agli Osanna, una delle pietre miliari del progressive italiano, e poi Alan Sorrenti (quello dei primordi) e Jenny Sorrenti con i Saint Just, il Balletto di Bronzo. Con la fase new wave c’è stata una proliferazione ulteriore di ottimi gruppi. C’erano moltissimi concerti autogestiti, molti locali underground…
Che posti frequentavi?
Ce n’erano tanti e interessanti, ma io ne frequentavo uno in particolare sia perché era un luogo affascinante, sia per le proposte che offriva: il Diamond Dogs. Si trovava nei pressi di una delle catacombe più importanti di Napoli: si entrava in un seminterrato, scavato nel tufo e frequentato da tutti gli amici freakettoni new wave.
Tra i tanti concerti a cui hai partecipato, vuoi ricordarne qualcuno in particolare?
Il concerto di Frank Zappa, allo stadio San Paolo, nel 1982.
C’era un servizio d’ordine molto serrato e mai visto prima, anche perché negli anni precedenti, a partire dagli anni ‘70, erano frequenti le autoriduzioni e l’uso di lacrimogeni. Ricordo che al concerto dei Traffic, quando avevo 14 anni, io ero sotto il palco e i lacrimogeni arrivavano all’interno dell’area del concerto: la situazione era alquanto tesa. Invece, a partire dagli anni ‘80, i concerti iniziarono a diventare più tranquilli grazie anche ad un servizio d’ordine più rigido. Nel caso del concerto di Frank Zappa, il servizio d’ordine era organizzato dallo staff del musicista ed era davvero impressionate, mai visto prima! In particolare c’era un omone che assomigliava a Lothar, il servo di Mandrake: era un gigante che metteva paura. Tra l’altro, non si poteva sostare sul prato ma solo sugli spalti, quindi c’era una notevole distanza tra il pubblico e il palco. Con tutto ciò, il sosia di Lothar controllava perennemente il pubblico con un binocolo per verificare che nessuno registrasse o fotografasse il concerto.
Avevo saputo che ci sarebbe stato un controllo severo ma, con tutto ciò, essendo il periodo delle radio libere in cui mi ero inserito anche io, cercavo di raccogliere materiale per creare dei bootleg in cassetta. Avevo acquistato un buon registratore Walkman e mi feci prestare da un caro amico due microfoni direzionali lunghi 40 cm ciascuno: i microfoni me li legai sotto le maniche con dello scotch, dalla parte interna delle braccia, e il Walkman lo camuffai tra le fette di pizza di scarola che mia madre mi aveva preparato come spuntino. Mentre aspettavo che il concerto iniziasse, gustavo la mia merenda e, tra una fetta di pizza di scarola e l’altra, c’era una finta pizza, ovvero un Walkman un po’ unto! In questo modo però riuscì a passarla liscia.
Una volta entrato nello stadio e preso posto tra il pubblico, appena iniziato il concerto, riuscì ad allontanarmi dallo sguardo di Lothar e me ne andai su di uno spalto un po’ più in alto e nascosto, dove non c’era gente: riuscii a registrare piuttosto bene. Purtroppo non conservo quelle cassette, ma questo è dovuto al mio carattere talvolta troppo generoso: avevo messo a disposizione le registrazioni per la radio libera dei miei amici ma non ho mai più avuto la restituzione delle cassette.
Vorrei ricordare qualche altro concerto significativo. Nel 1976-77 fu organizzata la Festa Nazionale dell’Unità alla Mostra di Oltremare. Io non avevo il Walkman (perché non esistevano ancora) ma solo un voluminoso registratore per cassette, quello per uso domestico; chiesi ad un amico esperto di elettronica di realizzare un accrocchio che mi permettesse di utilizzare un’alimentazione esterna. Non esistendo ancora le batterie al cadmio, l’alimentazione esterna era costituita da una batteria di automobile che pesava una quindicina di chili: quindi, in una mano avevo una custodia di sax tenore dove custodivo il registratore e i microfoni del solito amico citato prima e nell’altra mano avevo una borsa di cuoio, quella degli attrezzi di mio padre, contenente la batteria. In queste condizioni ho registrato i concerti di Max Roach, Tony Esposito ed altri, senza dimenticare che ero circondato da tanta gente, alcuni seduti per terra altri che ballavano…E’ stato divertente ma faticoso!
E poi, per farti immaginare come fosse vivace Napoli in quel periodo, nel 1973 ci fu sia il terzo festival di Musica di avanguardia e Nuove Tendenze sia Be-In, organizzato dagli Osanna. Quest’ultimo si tenne in una vasta area verde ai Camaldoli (una delle zone collinari di Napoli) dove, in un’atmosfera woodstockiana, si esibirono tutti i migliori gruppi della scena progressive italiana. Inoltre, era il 1974 e ricordo che alla Galleria Umberto furono organizzati tre o quattro giorni di musica ininterrotta: fu un evento straordinario. C’era davvero di tutto, da Don Cherry a Shawn Phillips, il Canzoniere del Lazio, Gaetano Liguori Idea Trio, James Senese, Tony Esposito, Eugenio Bennato, la Nuova Compagnia di Canto Popolare, Peppe Barra e tanti altri.
Come facevi ad essere aggiornato sui concerti o su altri eventi culturali?
Bastava camminare per strada o in piazza, c’erano quelle “nere” e quelle “rosse”. Era proprio una questione di territorio: se capitavi in una zona “nera” rischiavi di essere malmenato e io l’ho scampata un po’ di volte, e viceversa per i neri nelle piazze “rosse”. Quindi tramite amici, passaparola, ciclostili, volantini o le prime fanzine si ottenevano informazioni.
Ma il contesto artistico napoletano, più in generale, era vivace come quello musicale?
Sì e tanto. La scena napoletana era ricchissima, tanto che non riuscivo a seguire tutto: sembrava la grotta di Alibabà. A cominciare dal teatro, il che sembra scontato a Napoli, ma non dimentichiamo che c’era l’immenso Leo de Berardinis e che Mario Martone, Silvio Orlando e i fratelli Servillo (tanto per citare solo quelli più noti al largo pubblico) si sono formati lì. E poi mi ricordo , ad esempio, un personaggio che si chiamava Vittorio Lucariello che organizzava performance in uno spazio molto bello, uno scantinato, che metteva a disposizione di chi volesse esprimersi. Molti artisti hanno avuto le loro prime esperienze lì.
C’era anche un filone, che mi interessava, ed era legato al fascino orientale: Norbu, accademico tibetano che insegnava yoga, poi furono aperti il Centro Macrobiotico e il Centro Reich, la scuola di omeopatia diventò sempre più importante, e tanto altro.
In quali luoghi avveniva il contatto con artisti internazionali?
A Napoli c’era uno dei galleristi più importanti d’Italia, Lucio Amelio. Ricordo, tra i tanti, Andy Warhol e Joseph Beuys che, nel 1980, vennero ad esporre insieme le opere “Beyus by Warhol”; ricordo anche Mimmo Paladino, Keith Haring, Kounellis, Rauschenberg e molti altri artisti della scena internazionale, che esposero nella sua galleria o presero parte ad eventi da lui organizzati, come ad esempio Terrae Motus.
C’erano altre gallerie importanti, ossia la Galleria Lia Rumma e lo Studio Morra, dove Hermann Nitsch fece una performance un po’ forte dopo la quale fu cacciato dall’Italia.
Negli anni ’70 fu aperta una galleria che organizzava esposizioni molto interessanti, Framart Studio, che esiste ancora oggi. Lì ho assistito ad un evento su John Cage.
Ricordo che c’era una installazione con pupazzetti musicali, quelli caricati a corda. Suonavano tutti insieme e il pubblico era assorto e rispettoso mentre li ascoltava. A me, francamente, questo atteggiamento faceva un po’ ridere: stare in silenzio per ascoltare dei pupazzetti mi sembrava ridicolo, ma non per l’allestimento quanto per l’atteggiamento degli ascoltatori. A un certo punto, i pupazzi hanno iniziato a scaricarsi e io sono stato colto da un impulso a cui non potevo sottrarmi: mi sono alzato e ho iniziato a ricaricare i giocattoli, sentendomi addosso lo sguardo di qualcuno che pensava che io stessi profanando l’opera d’arte di Cage. Mi sono divertito anche perché, secondo me, lo spirito per affrontare l’ascolto di quell’esecuzione era scanzonato e ironico.
Secondo te, in quegli anni come mai c’era tutto quel fermento culturale a Napoli?
Francamente, io lo davo per scontato, anche se c’è da chiedersi come mai si sia sopito. So che adesso la città si sta risvegliando ma i luoghi istituzionali della cultura attraversano una fase critica, benché la situazione sia comune tutta l’Italia. Di recente, a parte i vari centri sociali, so che l’ex Asilo Filangieri, che si trova nel centro storico di Napoli, è stato restaurato e, recentemente, è stato occupato e vengono organizzate, in maniera autogestita, iniziative molto interessanti. Comunque, tornando agli anni ’70 e ‘80, c’erano davvero tante occasioni culturali.
Capitava di andare a zonzo in città e si incontravano musicisti dappertutto: ad esempio in Piazza Bellini, un luogo molto bello, c’erano molti bar, librerie e luoghi per incontrarsi e fare cultura. A Piazza Bellini tutto questo esiste ancora.
Prima parlavi delle radio libere, che infatti si formavano negli anni ’70: tu hai partecipato a quel movimento?
Sì, ho avuto la fortuna di assistere alla nascita delle prime radio libere napoletane. Quella più importante, e una delle prime in Italia, Radio Napoli Prima, aveva tra i suoi fondatori Nicola Muccillo e tra i collaboratori Raffaele Cascone, che fu anche dj per la Rai. In quegli anni, si fondavano radio libere in modo quasi selvaggio: anche alcuni miei amici ne crearono una e io mi accodai. Si chiamava Radio Spazio 1, aveva 30 W di potenza e, come puoi immaginare, il segnale arrivava solo nel condominio dove aveva sede: è subito fallita e lì ho lasciato anche le cassette del concerto di Frank Zappa! Un’altra radio importante era Radio Nuova Napoli, dove fui ospite qualche volta, ma in Radio Giornale Sud, anche questa dalla portata condominiale, gestivo una trasmissione sulla musica jazz assieme ad un amico che invece trasmetteva una selezione di musica pop internazionale e progressive italiano.
Oltre ai vari scantinati e locali underground dove si organizzavano concerti e performance, dove ti aggiornavi o acquistavi dischi?
C’erano tanti negozi di dischi, ma uno in particolare era molto importante per me, ossia quello di Gianni Cesarini in Largo Celebrano 30, al Vomero. Era un negozio dove ho ascoltato tanta musica, di qualsiasi genere, perchè con una tessera annuale del costo simbolico di 1500 Lire, si poteva ascoltare tutta la musica che si voleva. Nell’enorme seminterrato c’erano dei divanetti e, soprattutto, c’era Tonino o’ curt (e poi Alfredo) a cui chiedere cosa ascoltare: bastava scegliere un disco, lui lo posizionava sul giradischi e, benchè ci fossero poche cuffie, nell’attesa si poteva curiosare tra le novità esposte e si socializzava. Tonino tentò la strada dell’attore e poi fu sostituito da Alfredo, con cui feci amicizia.
Hai mai suonato in un gruppo?
Sì, ma senza saper suonare! A me piaceva solo la possibilità di creare qualcosa insieme ad altri. Avevo 16 anni, avevo appena comprato un basso e mi misi a suonare in un gruppo: non sapevo suonare, ma la mia strategia era quella di nascondermi dietro le casse o l’amplificatore. Il gruppo si ispirava agli Aktuala e di solito improvvisava; io non sapevo farlo, proprio perché conoscevo solo qualche giro di basso. In occasione di un concerto, io come al solito mi ero occultato però un tecnico del suono mi vide e ad un certo punto mi fece dei cenni, incitandomi a improvvisare un po’; si alzò, spostò l’amplificatore dietro cui ero nascosto e alzò il volume: è iniziato un mio assolo, assolutamente casuale, di 15 o 20 secondi.
Mi racconti un aneddoto, legato ad un viaggio in autostop?