Tony Ponticiello è D.J. in stato permanente di servizio dagli anni Settanta. E’ un geniale creativo pluri-media, pioniere delle radio libere, videomaker dal 1982, Graphic e Web Designer dal 1994, inventore nel 2006 di www.cheorae.it, ovvero il primo orologio multimediale interattivo E’ tra i cinquecento artisti elettronici censiti dal Museo di Arti Elettroniche di Tokyo nel 1994. Nel 2010 realizza la prima mappa di un intero territorio misurato in passi: Procida a passi.
Ci racconti com’è nata l’esperienza di Radio Napoli Prima? E’ legata alla tua attività di dj?
Sono sempre stato un grande appassionato di musica, anche perché ho vissuto la mia adolescenza durante gli anni Sessanta che hanno segnato in modo indelebile la storia del rock.
Erano i primi anni Settanta quando, quasi per caso, ho iniziato a lavorare come dj. Durante una vacanza estiva ero a Palinuro e avevo portato con me tanti dischi. Lì conobbi un po’ di ragazzi che come me erano amanti della musica e, visto che c’era una discoteca (il “Papillon”) da poco inaugurata, pensai di propormi come dj. Il caso ha voluto che il dj previsto per quella discoteca non fosse ancora arrivato e così feci la mia prima serata nel locale. Come compenso chiesi l’ingresso gratuito per tutti gli amici del gruppo, circa trenta persone, e quindi entrammo tutti insieme riempiendo la pista e fu un successo! Durante il resto dell’estate continuai a propormi e, quando tornai a Napoli all’inizio del 1971, iniziai a lavorare come dj resident in una discoteca al Vomero, il “Paradise”. In quegli anni ero studente d’ingegneria chimica e alternavo la frequenza universitaria con il lavoro di dj: inizialmente solo i week-end, nei “pomeriggi danzanti” nelle discoteche, e in seguito tutti i giorni della settimana, la notte, nei night.
Con la radio iniziai nel 1975: all’epoca in Italia esisteva il monopolio della RAI per le trasmissioni RadioTelevisive.
Con Nicola Muccillo, un mio amico con cui condividevo i gusti musicali e che già aveva lavorato alla Rai in trasmissioni come “Per voi giovani” e “POPOFF”, leggemmo un articolo pubblicato su “Panorama” in cui si parlava di Radio Milano International, la prima radio libera italiana, che fu sequestrata e subito dopo dissequestrata: il Pretore di Milano, infatti, aveva ritenuto che il monopolio della Rai per le trasmissioni radiotelevisive fosse in contrasto con l’art. 21 della Costituzione, che stabilisce il diritto per tutti alla libera espressione con tutti i mezzi di comunicazione, sollevando un caso di incostituzionalità e rimandando la decisione alla Corte Costituzionale.
Decidemmo di provare anche noi a Napoli, era il febbraio del 1975.
La nostra organizzazione partì: andammo a scoprire chi vendeva i trasmettitori e ci rivolgemmo a Marco Toni di Parma che, modificando vecchi trasmettitori radio FM (surplus degli aerei militari), poteva fornire l’attrezzatura per trasmettere a un costo accessibile.
Risolte le questioni tecniche ed economiche, iniziammo la nostra lotta per la conquista della libertà di trasmettere e così nel maggio del 1975 Radio Napoli Prima, la nostra radio, iniziò le trasmissioni.
Nel frattempo altre radio libere erano nate in Italia, ma non più di tre o quattro. Radio Milano International, Radio Parma, Radio Città Futura (a Roma) e Radio Firenze Libera.Noi eravamo molto attenti a seguire gli sviluppi del caso e ti posso assicurare che Radio Napoli Prima è stata la prima radio libera del Sud Italia e anche l’unica ad aver subito ben due sequestri.
Il primo, infatti, avvenne dopo pochi mesi e me lo ricordo molto bene perché ero proprio io in onda in quel momento. A un certo punto vedo che si apre la porta dello studio: penso che sia un collaboratore e invece compare un carabiniere con un mitra puntato verso di me mentre un’altra persona mi fa cenno di smettere. Essendo in diretta, col microfono aperto, ho raccontato agli ascoltatori esattamente quello che stava succedendo, suggerendo di restare in ascolto per conoscere l’evoluzione della situazione. Era il 20 settembre del 1975, il giorno del mio compleanno, non posso dimenticarlo.
Il nostro sequestro ebbe grande risonanza in Italia. Alcuni Pretori sequestravano e altri no: durante un convegno sulle radio libere, organizzato a Firenze, conoscemmo l’avvocato Porta dell’ANTI (Associazione Nazionale Telediffusione Indipendenti), che tutelava tutta la categoria, e che venne a difenderci in Pretura a Napoli, ma senza ottenere risultati perché il sequestro per noi non fu rimosso.
Nel frattempo a Napoli, sul nostro esempio, altre radio avevano iniziato a trasmettere, ma con nostra grande sorpresa non furono sequestrate: addirittura una radio, Radio Partenope, ebbe la sfrontatezza (con tutta la banda di frequenze libera) di occupare la nostra stessa frequenza, 102 Mhz. Decidemmo di riprovarci: comprammo un altro trasmettitore, e ricominciammo daccapo. Dovemmo contrattare la nostra frequenza originale e accettare il compromesso con Radio Partenope: noi su 101.800 e loro su 102.200.
Indomiti, riaprimmo a Dicembre 1975.
Nell’aprile del 1976, quando a Napoli ci fu il maxi sequestro di tutte le radio, noi fummo informati dell’operazione in atto e quindi ci sbrigammo a nascondere il trasmettitore, perché sicuramente le forze dell’ordine sarebbero venute anche da noi che eravamo recidivi. Infatti, puntuale arrivò il Pretore che ormai ci conosceva e fummo costretti a far ri-comparire il trasmettitore perché minacciati di perquisizione che, ci spiegarono, poteva avvenire in modo “amichevole” o no, e cioè mettendo tutta la casa sottosopra: eravamo a casa del mio amico, c’erano la nonna e la mamma, insomma una situazione domestica tranquilla, e quindi decidemmo di cedere e consegnammo il trasmettitore.
Ormai le radio libere si erano diffuse in tutta l’Italia e, dopo qualche mese, la Corte Costituzionale si espresse sancendo l’incostituzionalità del monopolio Rai per le trasmissioni “circolari”, cioè locali e non a livello nazionale, e anche Radio Napoli Prima fu dissequestrata: fu quasi una rivincita perché vennero gli stessi che ci avevano sequestrato le apparecchiature ma, questa volta, erano molto attenti a non danneggiare nulla proprio perché da “fuori legge” eravamo diventati legali, anzi eravamo stati i pionieri.
La storia di Radio Napoli Prima finì nel 1979 perché eravamo tutti volontari. Iniziavamo ad avere qualche pubblicità ma, visto che eravamo una radio chiaramente di movimento e non commerciale, non abbiamo mai avuto molte risorse economiche. La frequenza di Radio Napoli Prima, 101.800, la vendemmo a Radio Radicale.
Era rischioso gestire una radio libera in quegli anni?
Direi di sì, perché a tutti gli effetti eravamo considerati dei fuorilegge anche perché tutto successe durante gli “anni di piombo”. Noi trasmettevamo dalla casa di Nicola, al Vomero, e non potevamo dare recapiti quali il numero di telefono o l’indirizzo reale, ma a un certo punto decidemmo di comunicare quello di casa mia (non vivevo più in famiglia) e iniziarono ad arrivare le lettere degli ascoltatori.
Eravamo molto attenti: all’inizio, dopo aver controllato la ricezione in città, decidemmo di pubblicizzare la radio distribuendo un po’ di locandine nei locali e nei bar. Presto la voce si sparse, soprattutto perché eravamo l’unica radio alternativa a quella di Stato: c’erano Radio 1 e Radio 2 della Rai, Radio Napoli Prima e poi quella americana, fuori banda, e quindi chi voleva ascoltarla passava per forza dalla nostra.
Recentemente presso la Biblioteca Nazionale di Napoli c’è stata una conferenza stampa in cui è stata ricordata l’esperienza di Radio Napoli Prima: è stata un’iniziativa lodevole perché ormai si tende, purtroppo, a dimenticare la storia e soprattutto i pionieri, come noi, che hanno rischiato. Dal 1976 al 1986, per dieci anni, non c’è stata alcuna regolamentazione delle trasmissioni radio, perciò solo chi era più forte economicamente aveva la capacità di emergere e la tendenza a cancellare il passato è venuta di conseguenza.
Che programmi trasmettevate?
All’inizio principalmente musica anche perché, come dicevo, eravamo fuori legge ed era molto rischioso esporsi: c’era un intero panorama musicale sconosciuto ai più e la musica trasmessa dalla Rai per i giovani era pochissima. Trasmettevamo per otto ore al giorno musica eccezionale, era quella dagli anni Sessanta al 1975, praticamente le pietre miliari del rock.
Dopo il primo sequestro, decidemmo di iniziare con delle vere e proprie rubriche culturali avvalendoci di collaborazioni illustri: quella di cinema era curata da Mario Franco e Valerio Caprara, quella di teatro da Arturo Morfino (Playstudio), quella di arte contemporanea da Lucio Amelio, che ci portava a conoscere artisti interessanti discutendo di problemi estetici nuovi, ossia quelli delle avanguardie.
Tutta l’intellighentia napoletana di movimento è passata da noi: Lo Spazio Donna era curato da Laura Capobianco e UDI, Fenomenologia della Musica da Gianni Blasi, Musica Classica da Gianni Cesarini, Notiziari da Lucio Seneca, Astrologia da Ciro Discepolo, Viaggi dal CTS, Musica Sperimentale da Luciano Cilio, Armando Piazza e tanti altri. Radio Napoli Prima era una vera e propria radio culturale e di movimento. Ci fu poi la collaborazione con la redazione napoletana di “Paese Sera” con cui ci collegavamo la sera prima di chiudere, per farci dare le notizie che sarebbero uscite il giorno dopo sul giornale. Avevamo anche uno spazio per tutti i partiti, c’era chi veniva e chi no, anche perché le nostre posizioni erano chiare e non evitavamo di criticare nessuno se necessario.
Perché fondare una radio?
Per noi c’era bisogno di trasmettere la musica che a noi giovani piaceva, ricchissima di stimoli e di novità, e che volevamo condividere con tutti. I dischi ovviamente esistevano ma dovevano essere acquistati per essere ascoltati. Noi riunimmo le nostre forze, ossia le nostre collezioni di dischi, e li facemmo ascoltare. Anche le case discografiche iniziarono a inviarci le loro novità, ma la nostra selezione era rigorosissima: niente musica commerciale. Avevamo un accordo con Gianni Cesarini, che aveva uno dei più prestigiosi negozi di dischi al Vomero, ed era esperto di musica classica, tanto che curava una rubrica per la nostra radio. Ci accordammo per pubblicizzare il suo negozio in cambio del prestito di dischi. E poi non dimentichiamo che per la prima volta, nel 1975, si è aperta la possibilità di lavorare finalmente alla radio, perché altrimenti c’erano solo i pochi canali Rai e l’accesso era praticamente privilegio di pochissimi.
Avete promosso gruppi o musica non ancora conosciuti?
Sì e ti racconto un aneddoto a questo proposito. Era il 1975 (40 anni fa), entro in studio e sento una musica nuova e stimolante, mai sentita prima. Chiedo informazioni ai miei collaboratori e mi dicono che è un disco arrivato la mattina stessa, “un tale” Bob Marley: da quel giorno in poi lo abbiamo programmato in continuazione, era il reggae e noi intuimmo che si trattava di una grossa novità che andava promossa.
Che rapporto c’era con i gruppi musicali napoletani?
Noi eravamo una radio conosciuta per la qualità della musica trasmessa che non era mai commerciale, e i musicisti di Napoli, allora emergenti, come Tony Esposito, La Nuova Compagnia di Canto Popolare, Napoli Centrale erano nostri amici e ascoltatori e ci venivano a trovare alla radio. Eravamo comunque molto critici, ad esempio ricordo quando Eugenio Bennato aveva lasciato La Nuova Compagnia di Canto Popolare e venne a presentare e promuovere il suo nuovo gruppo Musica Nova da noi. Gli chiedemmo perché separarsi per poi creare un doppione visto che si trattava, in fondo, della stessa ricerca musicale: forse ci rimase male.
Che tipo di relazione c’era tra Radio Napoli Prima e ciò che avveniva nella città di Napoli?
Il rapporto era molto stretto. Ad esempio, quando venne Julian Beck e il Living Theater, oltre a intervistarlo in radio, personalmente seguii la sua perfomance collegandomi dalle cabine telefoniche che trovavo lungo il percorso e spiegando in diretta agli ascoltatori della radio cosa stava avvenendo per le strade di Napoli col suo teatro. Devo dire che sicuramente siamo stati un modello per le radio napoletane e anche quella che ha avuto più eco sulla stampa.
Esiste un archivio delle vostre attività?
Noi eravamo teorici del tempo reale, tutto era in diretta e senza repliche e poi, anche se avessimo voluto registrare tutto quello che trasmettevamo, avremmo dovuto spendere tanti soldi in cassette! Da qualche parte, esiste la registrazione dell’intervista a Julian Beck.
Avevate percezione di quanti fossero i vostri ascoltatori e di dove si trovassero?
Radio Napoli Prima è stata una delle radio più ascoltate, il segnale era limpido in tutta la città. Arrivarono tante lettere e addirittura ne ricordo una dalla Sicilia, che mai avremmo pensato di raggiungere. Con appena 20 watt di potenza e tutta la frequenza libera da interferenze, il segnale poteva viaggiare: le FM viaggiano in linea retta e se incontrano un ostacolo non riescono a superarlo. Noi eravamo al Vomero, con l’antenna in alto: era estate, il segnale viaggiava sul mare senza interferenze tanto da arrivare fino in Sicilia. Solo quando la radio fu dissequestrata, decidemmo di comunicare anche il nostro numero di telefono anche perché ormai non eravamo più l’unica radio a trasmettere. Con le telefonate, avevamo commenti in diretta e immediati da parte degli ascoltatori e, con tutta onestà, di grande gradimento!
Visto che in Italia c’era il monopolio della Rai, come hai fatto a formarti per lavorare alla radio?
Ho sempre ascoltato molto la radio! Il mio modello non erano sicuramente le radio italiane e le trasmissioni dedicate ai giovani dalla RAI.
Un mio modello era Radio Luxemburg che in Italia si riusciva ad ascoltare in AM 1440 solo però dalle due alle tre di notte, la radio americana (quella dell’epoca, perché oggi è peggiorata molto), in cui il dj lanciava il brano musicale in maniera mai casuale, Radio Montecarlo (degli anni ‘60) e Radio Capodistria. E poi l’esperienza diretta, che piano piano mi ha fatto crescere. Quando sei in diretta devi pensare che le persone all’ascolto, oltre a essere di qualsiasi tipo, stiano facendo le cose più disparate.
Mi è successo, tanto per dirne una, quando alla fine degli anni Ottanta lavoravo per Radio Med: da anni si era diffusa la tecnologia del walkman, io ero in trasmissione e ho iniziato a parlare a un ascoltatore immaginario, pensando che fosse in piazza Garibaldi alla fermata del bus, ascoltando la radio. Aspettavo che qualcuno telefonasse e in effetti è successo!
In base alla mia esperienza radiofonica penso che ci sia sempre un ascoltatore che è disponibile a intervenire alla radio: secondo me il 10% degli ascoltatori probabilmente vorrebbe intervenire in trasmissione; di questi, solo il 2 o il 3% decide anche di telefonare. Quando si riceve una telefonata (oggi sono filtrate), si può dedurre con una certa approssimazione quante persone siano in ascolto in quel momento (oggi ovviamente le percentuali sono molto più basse, i canali sono mille volte di più).
Una volta, ricordo che eravamo ancora sotto il primo sequestro, e fummo contattati da una radio barese, Bari Radio Uno, che ci invitò in trasmissione a parlare della nostra esperienza. Noi andammo a Bari, eravamo in studio, e vedemmo tutti molto timidi e impacciati tanto che ci sembrò naturale intervenire portando la nostra verve, che era sì caratteristica della nostra personalità, ma anche frutto dell’esperienza maturata in cinque mesi di trasmissioni per otto ore ogni giorno.
Le radio libere erano in rete tra di loro?
Sì, certo, ci conoscevamo e in alcuni casi collaboravamo. Ricordo che quando ci fu il terremoto in Friuli, le radio libere di un certo tipo erano in contatto tra di loro per informare sull’accaduto e coordinare l’emergenza. Un nostro ascoltatore molto affezionato si fece promotore degli aiuti umanitari che con i tir partirono dalla Campania in soccorso ai terremotati. Era Gabriele di Vico Equense, titolare di quella che oggi è una delle gelaterie più famose della costiera sorrentina.
Hai aneddoti divertenti da raccontare?
Ricordo che evitavamo assolutamente le dediche musicali e parlare di ricette di cucina, che invece altre radio erano solite trasmettere. Una volta venne come ospite di una trasmissione un ascoltatore, che parlava davvero tanto e, sebbene avvertito che non volevamo si parlasse di ricette, a un certo punto sentiamo che dice: “prendete un pollo, lo tagliate in quattro e…”, insomma non riuscimmo a bloccarlo in tempo e lui il pollo lo aveva già fatto in quattro!
A partire dagli anni Settanta si diffonde la disco music.
Cito un passo dal libro “Disco Music” di S. Baroni e N. Ticozzi : “Radio Popolare e la Disco Music, un dissidio insanabile! Siamo dialettici, aperti e possibilisti per molte cose, addirittura pluralisti nella visione del mondo, certe volte, di vedute larghe e larghissime anche in campo culturale, ma la Disco Music proprio non la digeriamo: già le copertine danno una punta di malore, il vinile diventa subito materiale a cui siamo refrattari e ci rende scostanti. Inutile insistere…” (Enzo Gentile per <<Radio Popolare>>, Arcana editrice, Milano, 1979, pag. 62).
Radio Napoli Prima come si poneva nei confronti della disco music?
Gli anni Settanta vanno divisi in periodi: la musica fino al 1975 è figlia del ’69, che ha partorito dei veri e propri capolavori, a mio avviso; dal 1975 in poi, in Italia si diffondono le radio libere e, contemporaneamente, esce un disco dei Bee Gees in cui si inizia a sentire quella musica che poi sarebbe diventata la colonna sonora di “Saturday night fever”, iniziando il nuovo genere disco: ecco, quella secondo me era disco di qualità. Dal 1975 in poi la musica per forza di cose è stata influenzata dalla disco music, nel bene e nel male. Del resto le radio erano libere, anche nella scelta musicale e nelle preferenze.
Com’erano le discoteche in cui hai suonato?
Ogni discoteca aveva la sua particolarità, sia per la musica sia per l’ambiente e le persone. Durante gli anni Settanta lavoravo in una discoteca, “Paradise Club”, durante i pomeriggi danzanti. Si entrava il pomeriggio del sabato alle 18 e alle 21 si tornava a casa: era molto spartana, ma avevo un impianto eccezionale e la gente si divertiva. Nel 1975 inaugurai “Il Bagatto”, un night molto sofisticato che all’epoca si era posto come alternativa a “La mela”, che era il locale più alla moda. Poi ho suonato allo “Zeppelin Club”, un locale storico napoletano che all’interno riproduceva un dirigibile, alla “Jungla” a Marechiaro, tipico night esclusivo, e a “Le Pacha” a Formia, diretto da un francese, e che ricordava molto i Club Mediterranée.
Non ho mai suonato in grandissime discoteche, ma Piazza Plebiscito credo che sia stato lo spazio più grande che ho “sonorizzato” in occasione del primo Capodanno in piazza a Napoli, era il 1990 se non ricordo male: c’era una folla scatenata!
Avevi una doppia anima di dj, una per la discoteca e una per la radio.
In radio il dj si fa ascoltare, in discoteca invece deve fare ballare.
Si è parlato della fine delle discoteche, dopo gli anni Novanta. Tu continui a lavorare come dj?
Non ho mai smesso di essere dj. C’è stata una pausa durante gli anni Ottanta ma solo perché ho scelto di dedicarmi al video come terreno di sperimentazione. Già negli anni Ottanta le discoteche avevano tutto un altro sapore. In quegli anni non ho lavorato molto come dj perché ero più interessato a realizzare videoclip musicali per vari gruppi.
Dal 1989 al 1994 sono tornato alla radio, ho lavorato per Radio Med, una radio commerciale, dove ho condotto varie trasmissioni coprendo tutte le fasce orarie giornaliere, dalla sveglia alle trasmissioni notturne. Continuo ad animare eventi in cui si vuole ascoltare e ballare buona musica.
Gli anni Ottanta, in Italia, videro dedicare una trasmissione televisiva della Rai interamente al videoclip, “Mister Fantasy”.
A “Mister Fantasy” si potevano inviare dei video, le cosiddette “video-lettere”. La redazione selezionava le migliori e le mandava in onda. Io inviai un videoclip realizzato su musiche dei Krisma (Maurizio Arcieri e Christina Moser), con cui proprio la troupe di Mister Fantasy aveva creato alcuni video per l’album “Clandestine Anticipation” (1982) girati nell’Oceano Indiano. Io inviai come video-lettera un videoclip con un’alba a Napoli, girato mentre attraversavo la città in auto, sincronizzandolo con la canzone. Fu molto apprezzato e fu un vero e proprio lancio per me.
Eri interessato solo al videoclip?
Nei quasi venti anni in cui mi sono interessato di video ho realizzato videoclip, video art, video teatro, documentari, trasmissioni televisive e ho collaborato col prof. Mario Costa, teorico di Estetica dei media e della comunicazione, per la cattedra di Estetica dell’Università di Salerno. Con lui ho creato diverse performance come artista elettronico.
In seguito mi sono interessato anche di computer grafica: avevo uno studio di produzione e post produzione video a Napoli, l’unico in città a interessarsi di sperimentazione video e, tra il 1980 e i primi anni del 2000, ho realizzato video in vari ambiti, sia per il teatro con Mario Martone, Vittorio Lucariello, Roberto de Simone sia per moltissimi gruppi emergenti napoletani specialmente. Poi, nel 2000, mi sono dedicato al WEB.
Dalla computer grafica, sei passato al digitale di internet con “Che ora è?” per poi tornare all’analogico con la “Mappa a passi”.
Le cose sono collegate. Avendo seguito tutta l’evoluzione della tecnologia, a un tratto ho capito che si arrivava a un punto in cui non c’era più tempo, che sembrava scappare e sfuggirci di mano. L’accelerazione imposta dalla tecnologia è innaturale e soprattutto ci dà una percezione alterata della dimensione umana del Tempo: ho pensato a un orologio multimediale interattivo, l’ho inventato ed è consultabile sul mio sito www.cheorae.it . Analizzando il Tempo come dimensione con cui si esperisce la vita, ho realizzato per ognuno dei 1440 minuti di cui è composta una giornata un video differente: ogni video è diverso così come ogni minuto della nostra vita.
Dal Tempo allo Spazio il passo è stato breve: riappropriamoci delle reali dimensioni umane perché la tecnologia ci sta trasformando in macchine. Lo spazio va misurato in passi che è l’unità di misura più adatta per quantificarlo, a mio avviso. Il Tempo e lo Spazio determinano il ritmo della camminata perché camminare è muoversi in autonomia riacquistando una dimensione personale della vita, che altro non è che un attraversamento di uno spazio nel tempo.
Nel tuo interesse per il camminare, mi sembra che ci sia un legame con l’ascolto dei suoni che ci circondano, come dimostrano le pratiche di soundwalk. Sembra che tu voglia essere sempre dj, ossia far muovere i corpi a suon di musica, sia nelle piste da ballo sia nei luoghi che attraversiamo camminando: ascoltare la musica ballando, ascoltare i suoni ambientali camminando.
E’ proprio così.
Ci parli della “Mappa a passi”?
La prima “Mappa a passi” risale al 2010, ma ci sono voluti un paio di anni per prepararla, e l’ho realizzata per Procida. Dopo l’esperienza di “Che ora è”, oltre al fatto di non poter camminare per Napoli perché mi riconoscevano e mi chiedevano l’ora (sono arrivato ad avere trentamila visualizzazioni giornaliere), avevo bisogno di staccarmi dalla città e mi sono trasferito nell’isola di Procida, che non visitavo da anni. Ho notato che lì tutti si muovevano con moto e auto, c’era molta confusione, non c’era l’ufficio turistico.
Ho pensato che ci fosse bisogno di creare una mappa per sensibilizzare gli abitanti alle reali dimensioni dell’isola, che può essere percorsa da un estremo all’altro in un’ora semplicemente camminando, senza dover utilizzare l’auto o la moto. Oltretutto, camminare attraverso l’isola sarebbe stato anche un modo per valorizzarla dal punto di vista turistico. Dopo la prima versione, ho iniziato a tradurla in varie lingue, aggiungendo dettagli: da un po’ di tempo ho deciso di dedicarmi anche ad altre isole e ad alcune città.
La “Mappa a passi” è una misurazione dello spazio secondo dimensioni umane: dall’uomo vitruviano, al Modulor di Le Corbusier, ai passi di Tony Ponticiello.
(Sorride)